"NEI film d'amore lui la rincorre, sale i gradini di una scala antincendio con una rosa in bocca e, sfidando vertigini e pregiudizi, le chiede di sposarlo. E anche quando non ha l'intraprendenza di Richard Gere, il protagonista delle commedie romantiche non riesce comunque a dimenticare la sua lei e vaga sconsolato per le strade di Notting Hill. Secondo gli psicologi specialisti in relazioni familiari dell'Università Heriot Watt di Edimburgo tutto questo fa male all'amore: le commedie romantiche danno una visione edulcorata della realtà e di conseguenza poco sana per la vita di coppia. Una conclusione che farà felice lo psicoterapeuta statunitense Gary Salomon, il primo nel 1997 a parlare di cineterapia, secondo il quale i film hanno un effetto preciso sui nostri equilibri mentali. Lo studio scozzese è partito da un esperimento pratico che ha coinvolto 100 volontari, ad alcuni facendo guardare commedie come Serendipity e ad altri film di David Linch. I primi, dopo aver seguito le "magiche casualità" che legano i destini di Kate Beckinsale e John Cusack, erano più propensi a credere all'amore predestinato, e comunque al di là del film avevano una concezione più "fiabesca" dell'amore. I fan di "Love actually", "Se scappi ti sposo", "C'è posta per te" e "Ghost" credono insomma che il prototipo dell'amore sia quello presentato da queste commedie, dove generalmente i due si innamorano, si rincorrono e alla fine, aiutati da un destino benevolo, vanno a convivere felici e contenti.
"Si tratta del primo studio sistematico su questo argomento - spiega lo psicologo Roberto Cavaliere, Presidente della Asipdar (Associazione Studio e Intervento Problematiche e Dipendenze Affettive e Relazionali) - e, per quanto riguarda gli effetti sul processo relazionale, sono assolutamente d'accordo con i risultati della ricerca. Certe commedie, così come certi libri, non aiutano a capire che la relazione di coppia è qualcosa che va progettata nel tempo, attraverso mille difficoltà. Diciamo però che questi film fanno male a chi ha già di per sé una visione patologica dell'amore. Si tratta insomma di un qualcosa che accentua un problema di fondo già esistente". Gli amanti delle commedie romantiche, spiegano gli psicologi scozzesi, hanno in genere grosse difficoltà a comunicare con il partner, ostacolati da una concezione dell'amore poco aderente alla realtà. La responsabilità sarebbe anche di questi film, scritti per solleticare i neuroni e non per dare consigli sul modo migliore per affrontare la vita di coppia. Lo psicologo Bjarne Holmes, uno degli autori dello studio, spiega che "I consulenti matrimoniali spesso vedono coppie che credono che il sesso debba sempre essere perfetto. Ci sono persone che credono al destino: secondo loro, se qualcuno è destinato a stare con te, saprà riconoscere perfettamente le tue necessità, senza bisogno che tu gliene parli. I media hanno una grossa fetta di responsabilità nella costruzione di certi miti". Il primo a lanciare l'allarme fu Gustave Flaubert, l'iniziatore del realismo e il creatore di un personaggio complesso come la Signora Bovary. Fu lui a parlare, quasi due secoli fa, della "diseducazione sentimentale dei romanzi d'amore". Dopo di lui gli studiosi hanno iniziato a concentrarsi sulla cosiddetta "visione fusionale" che certi romanzi davano della vita di coppia, presentata come la fusione tra due dolci metà e non, più correttamente, come l'unione di due unità. "L'amore romantico è sempre stato descritto in modo fiabesco e irreale - conclude Cavaliere - ma le cose forse negli ultimi anni sono cambiate: le persone che hanno meno di 35 anni sono molto più disilluse, ciniche, non tutte credono all'amore romantico. Io mi scontro spesso contro giovani che non hanno nessuna fiducia nell'amore". Studi recenti dimostrano infatti che i più romantici sono gli uomini di 53 anni: un sondaggio britannico ha analizzato il comportamento di 1000 soggetti tra i 18 e i 35 anni, dimostrando che è solo dopo i 50 anni che gli uomini si trasformano in teneri amanti tutti fiori, champagne e cenette. Al contrario dei propri figli, che omaggiano la fidanzata di un mazzo di fiori o di una cena a lume di candela solo ogni tanto, ben il 44 per cento dei "padri" lo fa abitualmente. Per non parlare del tradimento, altra spina nel fianco per i ragazzi di oggi. Le probabilità di tradire il partner in una relazione, quantificate recentemente da uno studio canadese, interessano dal 40 al 76 per cento delle giovani relazioni. Secondo i ricercatori, l'infedeltà potrebbe essere una precisa strategia di fuga per coloro che non riescono a innamorarsi davvero e prendersi delle responsabilità. E chissà che a generare tanta insicurezza non siano proprio i film alla "Notting Hill", perfetti per farci passare dal caldo tepore del romanticismo alla doccia fredda della quotidianità. (17 dicembre 2008)
"Si tratta del primo studio sistematico su questo argomento - spiega lo psicologo Roberto Cavaliere, Presidente della Asipdar (Associazione Studio e Intervento Problematiche e Dipendenze Affettive e Relazionali) - e, per quanto riguarda gli effetti sul processo relazionale, sono assolutamente d'accordo con i risultati della ricerca. Certe commedie, così come certi libri, non aiutano a capire che la relazione di coppia è qualcosa che va progettata nel tempo, attraverso mille difficoltà. Diciamo però che questi film fanno male a chi ha già di per sé una visione patologica dell'amore. Si tratta insomma di un qualcosa che accentua un problema di fondo già esistente". Gli amanti delle commedie romantiche, spiegano gli psicologi scozzesi, hanno in genere grosse difficoltà a comunicare con il partner, ostacolati da una concezione dell'amore poco aderente alla realtà. La responsabilità sarebbe anche di questi film, scritti per solleticare i neuroni e non per dare consigli sul modo migliore per affrontare la vita di coppia. Lo psicologo Bjarne Holmes, uno degli autori dello studio, spiega che "I consulenti matrimoniali spesso vedono coppie che credono che il sesso debba sempre essere perfetto. Ci sono persone che credono al destino: secondo loro, se qualcuno è destinato a stare con te, saprà riconoscere perfettamente le tue necessità, senza bisogno che tu gliene parli. I media hanno una grossa fetta di responsabilità nella costruzione di certi miti". Il primo a lanciare l'allarme fu Gustave Flaubert, l'iniziatore del realismo e il creatore di un personaggio complesso come la Signora Bovary. Fu lui a parlare, quasi due secoli fa, della "diseducazione sentimentale dei romanzi d'amore". Dopo di lui gli studiosi hanno iniziato a concentrarsi sulla cosiddetta "visione fusionale" che certi romanzi davano della vita di coppia, presentata come la fusione tra due dolci metà e non, più correttamente, come l'unione di due unità. "L'amore romantico è sempre stato descritto in modo fiabesco e irreale - conclude Cavaliere - ma le cose forse negli ultimi anni sono cambiate: le persone che hanno meno di 35 anni sono molto più disilluse, ciniche, non tutte credono all'amore romantico. Io mi scontro spesso contro giovani che non hanno nessuna fiducia nell'amore". Studi recenti dimostrano infatti che i più romantici sono gli uomini di 53 anni: un sondaggio britannico ha analizzato il comportamento di 1000 soggetti tra i 18 e i 35 anni, dimostrando che è solo dopo i 50 anni che gli uomini si trasformano in teneri amanti tutti fiori, champagne e cenette. Al contrario dei propri figli, che omaggiano la fidanzata di un mazzo di fiori o di una cena a lume di candela solo ogni tanto, ben il 44 per cento dei "padri" lo fa abitualmente. Per non parlare del tradimento, altra spina nel fianco per i ragazzi di oggi. Le probabilità di tradire il partner in una relazione, quantificate recentemente da uno studio canadese, interessano dal 40 al 76 per cento delle giovani relazioni. Secondo i ricercatori, l'infedeltà potrebbe essere una precisa strategia di fuga per coloro che non riescono a innamorarsi davvero e prendersi delle responsabilità. E chissà che a generare tanta insicurezza non siano proprio i film alla "Notting Hill", perfetti per farci passare dal caldo tepore del romanticismo alla doccia fredda della quotidianità. (17 dicembre 2008)
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